Sine oblio

finchè io viva e per sempre
Sine oblio
 
“Abitare significa lasciare tracce, ed esse acquistano, nell’intérieur, un rilievo particolare”. La celebre osservazione di Walter Benjamin sembra essere il presupposto da cui prende le mosse il lavoro di Angela Colonna, fotografa veneziana di origine pugliese.
Sine Oblio nasce da un gesto di intima pietas familiare, all’indomani della morte del nonno. È insomma il frutto di una privatissima urgenza. Ma, come avviene nelle esperienze artistiche più riuscite, quel gesto intimo assume un significato pubblico. La memoria individuale intercetta qui la memoria collettiva e quelle foto diventano una meditazione sul nostro rapporto con le cose e, di conseguenza, sul nostro rapporto con le mode, con il consumo, con la morte. Solo uno sguardo molto distratto potrebbe scivolare con curiosità indifferente sui piccoli oggetti ritratti in queste immagini, sui piatti accatastati nella credenza, sui calici di vetro, su qualche soprammobile impolverato, sui vestiti intravisti dentro a un armadio, sullo straccio appeso al davanzale, sulle screpolature della carta da parati. Nel loro apparente abbandono, queste cose, liberate da ogni valore d’uso, assumono nuovi significati, facendosi traccia di una presenza ormai svanita. Da essi, dalla loro polverosa durata, emerge, tanto più palese, la nostra fragilità; al contempo si addensa negli angoli di quell’appartamento, negli oggetti che vi riposano, la facoltà del ricordo. 
E non è forse, una simile trasfigurazione delle cose, delle più ricche così come delle più banali, uno dei compiti che l’arte degli ultimi due secoli si è posta con insistenza quasi ossessiva? Basti pensare alla moderna letteratura: non vi si trova pressoché ovunque gran copia di quegli “oggetti desueti” che furono oggetto delle acute indagini di Francesco Orlando? Dalle raffinate collezioni degli eroi dell’estetismo alle “buone cose di pessimo gusto” di gusto crepuscolare, negli oggetti liberati dalle loro funzioni più banali viene di continuo cercato un luogo di resistenza alla razionalizzazione industriale, all’inesausto incitamento al consumo, al nostro smarrimento davanti alle esperienze che passano.
Con le immagini di Sine oblio, Angela Colonna ha dunque recato un contributo prezioso e originale a una poetica delle cose che, in anni recenti, ha conosciuto molteplici declinazioni: basti pensare, per menzionare qui due esempi piuttosto distanti tra loro, alle installazioni con cui Christian Boltansky crea, con abiti e oggetti, archivi e tracce di persone assenti, oppure al tentativo di documentare qualche istante di felicità immaginaria che ha spinto lo scrittore turco Orhan Pamuk a intrecciare il linguaggio della narrazione letteraria con le possibilità dell’esposizione museale, dando vita a un Museo dell’innocenza in cui gli oggetti più disparati sono chiamati a essere testimoni di un tempo e di una vicenda ormai passati.
Le foto di Angela Colonna sono dunque meditazione sulla finitezza della nostra vita e sono evocazione dei tempi andati, di un’epoca nemmeno così distante eppure irrimediabilmente perduta, in cui gli oggetti assumevano un valore che era quasi difficile sostenere per chi ci viveva accanto, con tutti gli affetti e i ricordi che vi si accumulavano. A vederle, sembrerebbe a tratti ancora possibile che le cose tornino a essere quello che, secondo Rainer Maria Rilke, erano state per i nostri antenati: “ogni cosa un recipiente in cui trovavano l’umano e accumulavano altro umano” .
Certo, Rilke proseguiva quella lettera, scritta all’inizio degli anni Venti del secolo scorso, osservando che le “cose animate, vissute, consapevoli con noi declinano e non possono più essere sostituite”, così che la sua generazione sarebbe stata l’ultima ad avere “ancora conosciuto tali cose”, mentre già “incalzano vuote cose indifferenti”.  E si potrebbe allora sospettare che nel lavoro di Angela Colonna vi sia qualcosa di anacronistico, se la possibilità di cercare negli oggetti racchiusi dentro un appartamento una qualche presenza umana appariva già un secolo fa qualcosa di irrecuperabile. Forse, però, un po’ di anacronismo non può mancare là dove si tratta di sottrarsi, almeno un poco, all’oblio. Là dove si tratta di rallentare, di dare un ordine e un senso alla corsa del tempo, cercando come Angela Colonna un legame con il passato, cercando di sottrarsi alla legge spietata del moderno, per cui ogni generazione ha sempre da ricominciare di nuovo, sempre e da capo, senza poter sapere nulla davvero di chi è venuto prima.
 
Marco Rispoli
 
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personal work documenting my family house

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